Trezzano sul Naviglio, 1° ottobre 2010 – Abbiamo incontrato il numero uno di H3G a Milano. Partiamo subito con l’intervista.
Vincenzo Novari e 3 Italia, un percorso pieno di soddisfazioni e difficoltà. “Tra il 2005 ed il 2006 in azienda iniziamo a capire che la situazione non è semplice perché ci sono elementi, come l’esplosione del mondo dei dati in mobilità, che ancora non arrivano. Questa era una scommessa su cui avevamo puntato sin dal 2001, ipotizzando che dopo 5 anni ci sarebbe stata l’esplosione di internet in mobilità. Arriviamo fino al 2007 senza un nulla di fatto e il risultato è che perdiamo 800 milioni di euro, replicando nel 2008. E’ una fase critica per l’azienda e i competitor cercano di darci la spallata definitiva per toglierci di mezzo: siamo scomodi nel “triopolio” delle telecomunicazioni, una quarta voce fuori dal coro.
“Perché scomodi?”. “Siamo stati scomodi quando, ad esempio, applicavamo il sussidio dei terminali: quella mossa ebbe il risultato di frenare l’EBITDA di TIM e costrinse i competitor a seguirci”.
“Come avete reagito?” “Siamo stati costretti a fare delle scelte. Abbiamo dovuto rallentare gli investimenti, e in particolare quelli legati alla rete, dopo un primo roll-out di 3-4 anni al ritmo record di 1500 siti installati ogni anno. Quando i nostri finanziatori percepiscono che le cose non vanno come avrebbero dovuto, ci chiedono di allentare la spinta sul mercato”.
“Un brutto momento, ma è passato?”. “La nuova fase è cominciata nel 2008/2009 quando c’è stata la grande esplosione del web 2.0 e dei dati in mobilità. Si parte con YouTube e MSN, mentre nel 2008 arriva la più compiuta espressione di quel processo con l’arrivo di social network come Facebook. Tutto questo ha cambiato le necessità creando un bisogno di quei dati in mobilità che, in precedenza, non era giustificato dall’esigenza di scaricare solo una suoneria o di fare una videochiamata. Un investimento di 10 miliardi di euro non sarebbe stato giustificato solo per quello. In realtà – continua l’A.D. – abbiamo creduto sin dall’inizio nei dati, ma si è dovuto aspettare l’esplosione dell’utilizzo e delle applicazioni per capirne la portata”.
Tra i vari investimenti, c’era anche quello per le piattaforme della TV in mobilità, il DVB-H in primis. “Anche per la tv – continua l’A.D. di 3 Italia – abbiamo cercato la tecnologia migliore, ma anche questo non era il nostro obiettivo ultimo. Così, considerando il ritardo dell’esplosione dell’utilizzo di internet mobile, abbiamo investito nel DVB-H nel 2006, confortati anche dai risultati avuti in Corea del Sud, ovvero in un paese che solitamente anticipa le tendenze. Non potevamo stare in attesa di qualcosa che sembrava troppo futuribile, abbiamo scelto quindi questa strada”. “Come è andata?”. “Ci siamo trovati da soli a sviluppare la TV mobile, mentre in Europa non ci ha seguito nessuno, soprattutto i produttori di terminali. Noi cercavamo un prodotto che colpisse la massa, perché la televisione è un prodotto di massa, ed invece nel mercato avevamo terminali costosi e di nicchia. Il risultato è stato che chi aveva i soldi per acquistare un terminale DVB-H non era interessato a questo servizio e viceversa”. Quale è stato il problema? “Abbiamo provato a costruire dei prodotti a prezzo contenuto, ma ci è mancata la dimensione di scala europea. Abbiamo avuto un buon successo sul DVB-H con più di 800 mila clienti, ma gli altri non ci hanno seguito. Dunque la produzione di terminali, per abbassare il prezzo degli stessi e con la diffusione di schermi con dimensione più ampia, non si è potuta attuare”. Una situazione che ha portato anche Swisscom a lasciare il progetto con motivazioni pressoché identiche.
Quale è quindi la situazione della TV mobile attuale? “Ad oggi stiamo cercando di trovare delle soluzioni evolutive, lo streaming ci sta aiutando in quanto fornisce qualità molto buone con codifiche e standard molto elevati. L’idea è di “virare” tutto il mondo TV verso modalità diverse di trasmissione: quando la rete DVB-H sarà “scarica” la potremo dedicare ad altre tecnologie, come ad esempio il DTT”.
Un altro punto aperto è quello della copertura: in molti lamentano che la situazione è statica da diverso tempo. Cosa è successo? “E’ successo che nel frattempo, ritornando al racconto delle fasi evolutive dell’azienda, “inciampammo” – nel marzo 2007 – nel decreto Bersani con cui venne deciso di intervenire sul costo delle ricariche. Un provvedimento che ci fece molto male e rispetto al quale inutilmente urlai ai 4 venti che era del tutto anticoncorrenziale perché favoriva gli operatori ricchi, Tim e Vodafone, e danneggiava molto gli operatori più poveri. Di lì scaturirono tre conseguenze principali:
- mentre eravamo proiettati sull’uscita dalle curve di bilancio e stavamo per vedere la superficie, la manovra sulle ricariche ci ributtò giù, più degli altri. Tutto questo per il diverso peso che i mancati introiti avevano in percentuale sui bilanci degli operatori;
- in conseguenza del decreto decidemmo di aumentare il prezzo di tutte le tariffe ricaricabili per recuperare le perdite. Questo fu probabilmente un errore, se è vero che perdemmo 400 mila buoni clienti per effetto di una sorta di insurrezione popolare e con una valanga di ricavi in meno. Per questo il 2008 fun per noi un anno di grandi difficoltà e iniziarono ad apparire sulla stampa le notizie sull’ipotesi di scorporo dell’azienda, di vendita a TIM etc.. In realtà, proprio in quel periodo iniziavano a comparire i primi segnali di cambiamento. L’UMTS non era e non doveva essere soltanto un telefono più “figo” rispetto agli altri, ma doveva servire per portare idee e servizi diversi, quelli evoluti che poi hanno trovato uno strumento ideale negli smartphone. Nella seconda metà del 2008, da un lato, totalizzammo perdite finanziarie importanti, e ricevemmo un ultimatum dagli azionisti, non più disposti a coprire tali perdite e a proseguire negli investimenti ad oltranza, dall’altro avevamo capito che il mondo stava cambiando in quanto il web 2.0 stava diventando un fenomeno di massa e non più rivolto ad una ristretta Community.
- Decidemmo di cambiare totalmente strategia e di avviare una nuova fase per l’azienda, dando vita ad un nuovo modello operativo basato su 3 caposaldi: la completa ridefinizione dei costi, la focalizzazione dei nostri ricavi verso il mondo dei dati, diventando ancora più aggressivi sulle tariffe dati e abbandonando il sussidio dei terminali, il totale ripensamento dell’architettura di rete”.
Una nuova rete quindi? “Esattamente. L’abbiamo iniziata a realizzare tra il 2009 e il 2010: in alcune zone d’Italia stiamo sostituendo tutta la rete e quando sostituisci una componente così importante e numericamente ampia – si parla di 9000 antenne, ndr – si va incontro a periodi di crisi dovuti proprio a tali aggiornamenti tecnologici. Gli impatti verificati si possono protrarre per settimane, se non per mesi. Abbiamo iniziato nella seconda metà del 2009 e stiamo fronteggiando una fase di fine tuning resa ancora più complessa dall’esplosione dei dati in mobilità”.
Cosa avete deciso di fare? “Decidemmo di ridefinire la struttura dei costi per far ripartire gli investimenti per la rete. Uno snodo fondamentale, e doloroso, per evitare di far fare all’azienda la stessa fine di Blu fu la realizzazione di un piano di esodi incentivati nell’ultimo trimestre del 2008. Come diretta conseguenza di quelle decisioni, prese avvio un grande progetto di ampliamento della rete. Dal 2007 al 2009 abbiamo installato 500 siti all’anno: quest’anno stiamo ritornando a livelli da primato con 1000 nuove installazioni per migliorare la copertura nelle zone dove siamo carenti e potenziare la rete già esistente in zone ben individuate come il Nord Est, la costa adriatica e la Campania”.
Su quali criteri di sviluppo della rete puntate? Continuità o aree urbanizzate? “La continuità è fondamentale ma dovevamo scegliere se dare continuità, per esempio per coprire le gallerie che attualmente non copriamo, o dare servizio in alcuni paesi e città di piccole dimensioni che al momento non sono serviti. In questo caso abbiamo fatto una scelta importante: H3G è il primo operatore in Italia a pianificare la rete in base alla densità demografica e non in base al PIL dell’area da coprire: per esempio abbiamo dato grande impulso alla rete nel sud Italia, perché ritenevamo fosse giusto così. Infatti, quando sento dire in materia di NGN che si vuol coprire prioritariamente 13 grandi città ritengo si commetta un errore: si tratta di città che già dispongono di infrastrutture avanzate e ne hanno una minore “necessità sociale” rispetto al Sud del nostro paese”.
(uno degli ultimi spot 3 della recente campagna pubblicitaria basata su iPhone4)
Ampliare la copertura però ad oggi sembra difficile, puntate ancora molto sulle frequenze a 900MHz?
“Noi ad oggi facciamo viaggiare l’UMTS sui 2.100 MHz. e questo richiede molte antenne per poter coprire il territorio perché le antenne hanno un raggio limitato rispetto alla frequenza a 900 MHz. Per coprire bene l’Italia con l’UMTS a 900 bastano 2000 siti, mentre sui 2.100 MHz. ne dobbiamo avere invece, ad oggi, 12000. Il punto è che 3 è ad oggi l’unico gestore a non avere un blocco da 900 MHz: è acclarato che anche noi dobbiamo avere il nostro blocco di 5 megahertz a 900 ma lo libereranno completamente solo nel 2013, mentre dal 2011 ci verranno date zone di scarso utilizzo. Insomma, con questo timing dovremmo iniziare a costruire la nostra rete a livello nazionale a 900 MHz. sperando di finirla entro la fine del 2013, in una visione ottimistica. Ed è anche per questo che la nostra posizione sui costi di terminazione resta dura nei confronti dell’Authority visto che siamo stati discriminati”.
Come? “La fortuna di Tim e Vodafone nasce nel fatto che, nei primi 5 anni di attività, prendevano 1.800 lire al munito per ogni chiamate terminata sulla loro rete: una cifra scesa a 900 lire, poi a 400 fino a 250. Noi invece siamo stati discriminati anche nei confronti di Wind, oltre a Tim e Omnitel/Vodafone, tanto che ad oggi si continua a non tenere in considerazione che la nostra struttura di costo non può essere comparabile a quelle degli altri visto che non abbiamo la rete a 900 MHz. Se noi potessimo, metteremmo 5000 antenne in più già da domani, ma avendo un budget da rispettare, dobbiamo cercare di posizionarle in aree strategiche rispettando tre criteri fondamentali: dove ho più bisogno di capacità, dove ho più bisogno di copertura e dove ho più bisogno di continuità. Questo è il dilemma che ci troviamo ad affrontare ogni sei mesi quando facciamo il piano di rete”.
Rete che comunque, al di là dei lavori che dicevamo, trova molti clienti insoddisfatti per la lentezza di internet mobile: “E’ vero. Fino a poco tempo fa la capacità non era un nostro problema mentre oggi lo è. Perché? Perché ho 10.000 clienti che con il P2P mi assorbono la stessa capacità degli altri 850mila. Allora bisogna trovare una soluzione tra due ipotesi: o limitare i 10mila clienti per poter dar servizio agli altri 850 mila oppure dare pessimo servizio a tutti gli 860 mila clienti dati. La scelta è stata tendenzialmente la prima e dunque cerco di limitare quei 10 mila. Ovviamente c’è modo e modo di limitare con piattaforme che però devono essere tarate per poter agire nel modo migliore. La nostra piattaforma attualmente è in fase di start up dove, per adesso, limita senza tanta “gentilezza” i clienti: tra sei mesi sarà perfezionata ed agirà nel momento e nel modo giusto”.
I clienti che subiscono un cambiamento del contratto in corso però si arrabbiano. “Nel contratto c’è scritto che per motivi di sicurezza della rete l’operatore si riserva il diritto di poter apportare delle modifiche che, in questo caso, sono le limitazioni di velocità che stiamo imponendo ad alcuni clienti.
Non sarebbe forse il caso di seguire alcuni modelli europei dove si offrono contrattualmente X o Y GB di qualità a fronte di un diverso costo? “Per fare un’operazione del genere ci vogliono delle macchine “intelligenti” capaci di registrare i volumi ed agire nel momento giusto. Qui da noi solo da alcuni mesi si sta verificando il sovraccarico della rete. Ci siamo messi a lavorare su questa cosa, ma ci vuole tempo. E non potendo cambiare il contratto offerto in corso abbiamo scelto la via limitazione come previsto dalle Condizioni Generali di Contratto e dalla Carta di Servizi. Comunque stiamo lavorando per potenziare la rete, ci vuole tempo e pazienza. Come quando si costruisce una linea del metrò si aprono dei cantieri e si sconta un periodo di ovvi disagi, ma nell’arco massimo di 18 mesi saremo a regime in una posizione privilegiata rispetto ai competitor. Come del resto lo siamo stati fino a qualche mese fa, visto che ora siamo come gli altri, mentre prima eravamo migliori degli altri”.
Quindi cosa rispondiamo a chi critica 3? “Spesso contesto i toni, non i contenuti. In tal senso proviamo ad immaginare cosa sarebbe il nostro mondo senza 3: sarebbe con TIM, Vodafone e Wind che avrebbero sul mercato proposte commerciali con 500 MB a 29 euro e non a 10 GB di media, come è adesso. Nello scenario italiano abbiamo costituito un elemento di innovazione strutturale accompagnata da un successo enorme che ha cambiato le regole del gioco in un settore importante della nostra economia. Non mi sembra ci siano stati altri casi analoghi. Sarebbe interessante calcolare i benefici per la società italiana legati all’esistenza di 3 Italia, mettendo insieme tutto il PIL creato dall’azienda, i risparmi per le famiglie e le aziende italiane (considerando non solo i clienti di 3 Italia, ma la totalità dei consumatori, avvantaggiati dalla competizione “spinta” legata alle stesse iniziative commerciali di 3 Italia), oltre agli investimenti messi in campo dalla nostra azienda. Certo lanciare sempre nuove sfide è scomodo e ti porta a sbagliare più degli altri, ma è anche la mission di 3, e l’abbiamo perseguita con un certo successo se è vero che siamo una delle aziende UMTS più grandi in Europa”.
Per chiudere non può mancare una domanda sui rapporti con la clientela. Talvolta emerge una certa propensione dell’azienda alla litigiosità. A cosa si deve? “Più che di litigiosità penso si possa parlare di una certa combattività indotta dai continui attacchi operati un po’ da tutti i soggetti della filiera delle tlc, inclusi talvolta anche i clienti. Mi vengono in mente quei 500mila telefoni sul mercato sbloccati proprio dai clienti ed utilizzati su altre reti: forse su alcune cose siamo degli illusi, come quando pensiamo che non sia corretto “craccare” i telefoni o i software. Anche se oggi può sembrare una bestemmia, per noi ci sono delle regole che vanno rispettate. Se abbiamo dovuto mettere 400 nostri colleghi fuori dall’azienda, ci siamo stati costretti anche perché qualcuno ha commesso dei reati. Tutto questo per dire che quello che si lamenta non sempre è quello in buona fede. Quando la tua azienda rischia di sparire dal mercato, la reazione è quella di colpire la minoranza “disonesta”: il risultato è che talvolta si prendono di mira i “clienti sani”. Certo, questo è un problema, perché finisci per non dare un servizio, come accade per esempio con il trasferimento di chiamata, per colpa di pochissimi, ma è difficile, tecnologicamente, riconoscere i clienti disonesti. Anche per questo abbiamo cominciato una rivoluzione silenziosa come il Progetto Verde dedicato al mondo dei call center”.
Ossia? “E’ una rivoluzione epocale per i call center, che molti vedono come le fabbriche del 2000. Abbiamo ridefinito l’ottica dei call center, dividendo gli addetti in 69 gruppi di lavoro, rendendoli individualmente responsabili di tutto ciò che riguarda i nostri migliori clienti e collegando remunerazioni aggiuntive al ricavo che si ottiene dai clienti. Tutto questo ha portato ad un clima aziendale positivo, frutto dell’entusiasmo degli operatori: i clienti se ne sono accorti tanto che scrivono lettere di ringraziamento per il servizio ricevuto. E’ una scelta strategica e stiamo riuscendo a dimostrare all’azionista che i maggiori costi sostenuti per sviluppare questo progetto portano ricavi significativamente maggiori. Questo magari ci permetterà di aprire un nuovo call center ed assumere altre 500 persone, creando ricchezza e occupazione. Per me è un sogno che si avvera, tanto più in momento di crisi economica. I colleghi impegnati nel progetto imparano a conoscere i loro clienti, a distinguere quelli onesti da quelli che non lo sono e dispongono delle leve gestionali in autonomia e in assenza di gerarchie. Per il cliente a 5 stelle c’è anche il vantaggio di parlare sempre con lo stesso gruppo di lavoro, instaurando una relazione personale che migliora la qualità del servizio”.
Dopo oltre un’ora di intervista, siamo curiosi anche di sapere se il numero uno di 3 Italia conosce Mondo 3 e cosa ne pensa. “Sì, in una prima fase – fin dal 2002 (anno della nostra creazione, ndr) – ho seguito molto Mondo3 per capire gli umori dei clienti. C’era un grande equilibrio e il dibattito era garbato”.
E poi? “In una seconda fase, mentre noi eravamo impegnati in una lotta per la sopravvivenza, il tono del sito ha iniziato ad essere più “pesante” ed aggressivo: non sono mancati gli insulti personali e anche qualche “distorsione” della verità, per cui ho smesso di consultare il forum.”
Lo lasciamo così, con la speranza che dopo questa intervista possa tornare più assiduamente sul nostro sito. Magari solo per notare come la chiave di ricerca “Vincenzo Novari” su Google.it evidenzi proprio Mondo3 come secondo risultato assoluto.
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