Come apprendiamo dal forum di Mondo3 , è stata da poco pubblicata una delibera, per molti versi interessante, relativa ad una controversia tra un utente e l’operatore mobile H3G S.p.A. ed inerente la rimodulazione tariffaria del piano “Top 3 Privilege” avvenuta nel lontano mese di luglio del 2004.
Vi anticipiamo subito che l’istanza presentata dal dott. xxx, in cui veniva contestata la rimodulazione del piano “Top 3 Privilege” , è stata rigettata dall’Agcom: interessante è comunque la lettura di alcune parti della delibera in cui l’Agcom affronta la questione della “vessatorietà” sollevata dall’utente, con possibili implicazioni sulla legittimità di altre rimodulazioni tariffarie operate dai vari gestori mobili.
L’istante aveva rappresentato:
- in data 21.05.2004, H3G S.p.A. comunicava l’entrata in vigore delle modifiche a far data dal 01.07.2004. La nuova tariffa prevedeva 90 minuti di chiamate al giorno e 90 minuti di videochiamate al giorno entro la soglia di gratuità, stabilendo che l’eventuale residuo di contenuti e servizi non fruiti su base giornaliera non fosse più cumulabile con la soglia del giorno successivo, mentre la precedente prevedeva 10 ore di chiamate settimanali e 10 ore di videochiamate settimanali, senza limiti giornalieri;
- […]
- in punto di diritto, tali modificazioni, sebbene siano riconducibili all’esercizio di uno ius variandi espressamente previsto dall’articolo 22 delle condizioni generali di contratto, debbono qualificarsi come arbitrarie ed ingiustificate, in quanto poste in essere in violazione dell’art. 1372 c.c., nonché dell’articolo 33, comma 2, lett. m) del Codice del Consumo.
La fattispecie de qua investe il profilo della legittimità delle clausole contrattuali che abilitano i gestori di telefonia ad operare variazioni unilaterali dei piani tariffari pur in assenza di un giustificato motivo preventivamente individuato in sede di regolamento d’interessi.
L’art. 33, comma 2, lettera m) del codice del Consumo prevede, infatti, che “si presumono vessatorie fino a prova contraria” le pattuizioni che “consentono al professionista di modificare unilateralmente le clausole del contratto, ovvero le caratteristiche del prodotto o del servizio da fornire, senza un giustificato motivo indicato nel contratto stesso“.
Orbene, nel caso di specie, l’art. 22 delle condizioni generali di contratto di H3G stabilisce che “..qualora “3” proponga al Cliente modifiche ai Piani Tariffari che comportino un aumento dei corrispettivi dovuti dal Cliente stesso o, comunque, un incremento degli oneri economici previsti a suo carico, il Cliente potrà recedere dal rapporto inerente il Servizio interessato, dandone comunicazione a “3” mediante raccomandata a.r., entro 30 (trenta) giorni dal ricevimento della comunicazione di cui al precedente comma. Trascorso tale termine, le modifiche comunicate si intenderanno accettate dal Cliente.”
Invero, l’analisi della suddetta clausola contrattuale porta ad escludere la sua riconducibilità al novero delle clausole che il citato art. 33, comma 2, lett. m) del Codice del Consumo presume vessatorie.
Ciò in ragione del fatto che la clausola in contestazione non sembra introdurre uno ius variandi suscettibile di spaziare sull’intero contenuto del programma negoziale. Il precetto negoziale esaurisce la sua efficacia nell’ammettere variazioni di costo del servizio pattuito, limitandosi cioè a consentire all’operatore di determinare unilateralmente un aumento di prezzo del servizio telefonico e riconosce, in siffatta evenienza, il diritto dell’utente di recedere dal contratto. Né si può ritenere, d’altronde, che il prezzo sia annoverabile tra quelle “caratteristiche del prodotto o del servizio” che sono prese in considerazione dal citato art. 33, comma 2, lett. m), che sancisce la presunta vessatorietà di tutte le clausole che abilitano a modificare unilateralmente tali elementi senza essere “accompagnate” dalla indicazione dell’apposito “giustificato motivo”. All’elemento del prezzo è infatti dedicata la disposizione speciale della lettera o) dello stesso comma, che assume quindi valore prevalente e assorbente.
La circoscritta portata della clausola in argomento consente di propendere – in ossequio al principio di specialità – per il suo inquadramento nell’ambito del citato articolo 33, comma 2, lett. o) del Codice del Consumo, il quale richiede, al fine della presunzione di vessatorietà, due distinti elementi: la fissazione, da parte del professionista, di un prezzo finale “eccessivamente elevato” e la mancanza della previsione, per tale eventualità, di un diritto di recesso a favore del consumatore. Elementi, questi, che si ritiene non ricorrano nella fattispecie in esame, ove è esplicitamente riconosciuto agli utenti il diritto di recedere dal contratto.
L’istanza è stata quindi rigettata, poichè 3 Italia. ha posto in essere “un comportamento conforme alla normativa sopra specificata, con particolare riguardo all’ osservanza delle prescrizioni dettate in punto di obblighi informativi e di modalità di esercizio dello ius variandi”
Un’analisi più attenta della delibera conduce però ad alcune interessanti considerazioni e quesiti: una rimodulazione tariffaria senza giustificato motivo e che non incida “direttamente” sul prezzo, ad esempio la modifica della tariffazione da secondi a scatti ( come sta accadando attualmente con Vodafone Italia) oppure la variazione del meccanismo di autoricarica ( accaduto con Tim e H3g) può ricadere nell’ art. 33, comma 2, lett. m) del Codice del Consumo?
Ovvio che in tal caso una siffatta rimodulazione potrebbe lasciare forti dubbi sulla sua legittimità…