Dopo il parere di Assoprovider sulle nuove emissioni, oggi una nuova relazione che risponde alla necessità di un nuovo quadro normativo.Le paure dei cittadini sul 5G sono ormai marginali. Nonostante sialargamente diffusa l’idea che la popolazione nutra timore per l’inquinamento elettromagnetico e avversione per l’installazione delle “antenne” di quinta generazione, secondo l’analisi condotta da Bytek e I-Com, le ricerche sul web relative al 5G e correlate a un sentimento di paura mostrano un andamento fortemente decrescente:
in Italia passano infatti dal 13% del totale nel 2020 al 2,8% del 2022, anno nel quale si sono registrate solo 144,5 ricerche di questo tipo ogni 100.000 abitanti.
L’evoluzione tecnologica delle telecomunicazioni rappresenta un volano di sviluppo straordinario per la trasformazione digitale del Sistema Paese. Il 5G gioca in questa partita un ruolo fondamentale, garantendo performance sempre più avanzate e una maggiore connettività sul territorio.
Eppure l’Italia risulta ancora l’unico dei grandi paesi comunitari a non aver innalzato i limiti dell’esposizione ai campi elettromagnetici, mancando di adeguarsi agli standard internazionali, sulla scia degli altri paesi UE.Se si tiene conto del fatto che a livello globale le reti di quinta generazione avranno un effetto positivo sul PIL di circa 950 miliardi di dollari entro il 2030 e che, a livello nazionale, la previsione di limiti stringenti alle emissioni elettromagnetiche si traducono in extra-costi di circa 4 miliardi di euro, risulta allora necessario superare gli ostacoli normativi e rivedere la disciplina sull’esposizione elettromagnetica, accelerando così sul fronte dello sviluppo delle reti 5G e della transizione digitale nel nostro Paese. Appare, infatti, assolutamente pregevole l’iniziativa attualmente al vaglio dei Consiglio dei Ministri per l’adozione di un disegno di legge attraverso cui procedere alla revisione dei limiti attualmente vigenti.
“Il 5G e la percezione dei rischi presso i cittadini“
Sono questi alcuni dei temi principali che emergono dallo studio dal titolo “Il 5G e la percezione dei rischi presso i cittadini” realizzato dall’Istituto per la Competitività (I-Com) e Join Group nell’ambito di Futur#Lab, il progetto promosso da I-Com e WINDTRE, in collaborazione con Join Group e con la partnership di Ericsson e INWIT.
L’indagine è stata presentata a Roma nel corso della seconda tavola rotonda del 2023 alla quale hanno partecipato, oltre al presidente I-Com Stefano da Empoli e al direttore external affairs and sustainability di WINDTRE Roberto Basso, il senior business advisor di Join Group Enrico Barsotti e la vicepresidente I-Com Silvia Compagnucci – che hanno illustrato la ricerca – il ceo & founder di Bytek Paolo Dello Vicario, il primo ricercatore del Centro Nazionale per la Protezione dalle Radiazioni e Fisica Computazionale dell’Istituto Superiore di Sanità Alessandro Polichetti, la responsabile nazionale politiche dei consumatori di Cittadinanzattiva Tiziana Toto, il presidente di Adiconsum Carlo De Masi, l’head of radio and device engineering di WINDTRE Fulvio Margherita, il direttore government & policy advocacy Europe di Ericsson Telecomunicazioni Antonio Sfameli, l’external relations, communication & sustainability director di INWIT Michelangelo Suigo, il presidente di Amici della Terra Monica Tommasi, l’assessore al Patrimonio, demanio, servizi generali e sistemi informativi della Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia Sebastiano Callari, il responsabile del Dipartimento concorrenza 1 dell’AGCM Giuseppe Galasso e il presidente di ISPRA Stefano Laporta. Il dibattito è stato moderato dal presidente di Join Group Alessandra Bucci, partner dell’iniziativa.
Il paper analizza lo sviluppo delle reti 5G in Italia e nel mondo e fa il punto sulla normativa relativa ai limiti elettromagnetici e alla percezione dei rischi da parte dei cittadini. Infatti, è largamente diffusa l’idea che la popolazione nutra timore e avversione per l’installazione delle reti di telecomunicazione e lo sviluppo della tecnologia di quinta generazione. L’analisi condotta da Bytek e I-Com per Futur#Lab ha permesso di studiare i timori correlati al 5G in 5 paesi (Italia, Stati Uniti, Francia, Germania e Spagna) attraverso l’osservazione delle keyword utilizzate sul web dagli utenti a livello nazionale nel periodo compreso tra agosto 2019 e marzo 2023: le ricerche sul 5G correlate a un sentimento di paura, al di là del secondo trimestre 2020 – a causa di un forte condizionamento esercitato dalla crisi pandemica e dalle numerose fake news su possibili collegamenti tra 5G e Covid-19 – mostrano un andamento fortemente decrescente e si attestano su numeri marginali. Prova ne è il fatto che in Italia passino dal 13% del totale nel 2020 al 2,8% del 2022, anno nel quale si sono registrate solo 144,5 ricerche di questo tipo ogni 100.000 abitanti. Rispetto alle antenne, emerge un ridotto interesse per l’argomento in generale (solo 9,5 ricerche ogni 100.000 abitanti in Italia nel 2022). Anche il tema dei limiti elettromagnetici, unico argomento non impattato – USA a parte – dalla crisi pandemica, sembra non appassionare particolarmente le ricerche italiane che, seppur superiori a quelle realizzate in Spagna (11,5) e Francia (5,7), si attestano a quota 12,3 ogni 100.000 abitanti nel 2022.
A fronte di una larga maggioranza della popolazione che non nutre particolari preoccupazioni verso il 5G, appare crescente l’interesse delle aziende. Secondo il rapporto internazionale “Reimagining Industry Futures Study”, pubblicato da EY a febbraio 2022, il 17% delle imprese stava già investendo sul 5G nella propria organizzazione, mentre ben il 56% stava programmando un investimento che verrà effettuato in un arco temporale che va da 1 a 3 anni. Solo il 12% crede che il 5G non abbia rilevanza per il proprio settore e per la propria posizione competitiva.
In questo contesto, andrebbe senz’altro nella giusta direzione l’iniziativa del Governo, ancora in fase di gestazione, di rivedere i limiti vigenti. In particolare, nella bozza in discussione, si prevede l’innalzamento ad un valore di 24 V/m nel caso di mancato raggiungimento di un’intesa entro 120 gg dall’entrata in vigore della legge. Si tratterebbe di una modifica normativa assolutamente importante, ove effettivamente implementata, attraverso la quale si porrebbe un freno al proliferare di impianti e dunque si ridurrebbe, da un lato, l’impatto ambientale conseguente al maggior consumo di energia, di suolo e di materiali che la disciplina vigente impone; dall’altro, si favorirebbe la competitività delle imprese di TLC non più chiamate a realizzare innumerevoli nuovi siti, delle aziende italiane in generale che potrebbero più rapidamente accedere alla connettività 5G e ai servizi che lo stesso abilita e, in ultima istanza, del Sistema Paese nel suo complesso.
A oggi, l’Italia resta l’unico dei grandi paesi comunitari a non aver adottato gli standard consigliati dall’ICNIRP (Commission on Non-Ionizing Radiation Protection). A differenza delle linee guida che fissano un valore limite di 61 V/m, pari a circa 10 W/m2, nella Penisola sussistono limiti più stringenti, con un valore mediato su 24 ore di dieci volte inferiore, pari a 6 V/m. La previsione di tali limiti alle emissioni elettromagnetiche si traducono, secondo un recente studio presentato da ASSTEL nel corso di un’Audizione presso la IX Commissione Trasporti, Poste e Telecomunicazioni della Camera dei Deputati, in extra-costi di circa 4 miliardi di euro. Di contro, le poche altre nazioni europee che, insieme all’Italia, avevano storicamente limiti stringenti li hanno alzati o stanno considerando di farlo di fronte alle nuove sfide poste dal 5G. La Polonia si è uniformata ai limiti internazionali a partire dal 1° gennaio 2020 mentre nella regione di Bruxelles è iniziato un processo di modifica della disciplina su tali limiti.
L’evoluzione tecnologica delle telecomunicazioni rappresenta infatti sicuramente un fattore determinante per la trasformazione digitale del Sistema Paese.Basti ricordare che secondo le più recenti stime GSMA, l’impatto positivo sul PIL potrebbe arrivare su base annuale a 950 miliardi di dollari nel 2030.