Articolo a cura di Joe Baguley, VP e CTO VMware EMEA
Secondo il presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, stiamo vivendo il nostro “decennio digitale”. Sarà un decennio decisivo per il mondo digitale, che porterà cambiamenti radicali nel modo in cui lavoriamo, impariamo e viviamo.
Questo sta portando alla crescita esponenziale del volume di dati creati e anche alla loro distribuzione, condivisi tra dispositivi, organizzazioni, governi e aree geografiche e, di conseguenza, al bisogno pressante di sovranità e capacità digitali tra gli Stati e al riconoscimento che dovrebbe esserci un mandato nazionale per migliorare la sicurezza dei dati, la privacy e l’innovazione.
Un punto che solleva grandi domande: quali sono le sfide per le aziende – e per tutti noi – se questo non accade? Quali innovazioni stanno guidando la risposta? E, soprattutto, come può diventare una realtà prima che le potenziali minacce superino le opportunità?
Con l’aiuto di alcune voci importanti del mercato, questo articolo vuole cercare di rispondere a queste domande chiave.
Definire la sovranità digitale
In primo luogo, cosa intendiamo esattamente per “sovranità digitale”? Semplificando, si tratta di persone, aziende e governi che mantengono il controllo sui propri dati. Da cittadini, siamo preoccupati per i nostri dati o per quelli che ci riguardano e per il fatto che su questi dati ci siano i giusti controlli per evitare che siano accessibili e usati in modo improprio da attori sconosciuti. Lo stesso vale per le aziende. Questa preoccupazione generale tra le persone e le organizzazioni ha raggiunto un livello che impone una presa di posizione.
Quello che è cambiato è che, vent’anni fa, le cose erano semplici: i dati stavano sui nostri computer, in un unico posto. Ora, in un vero mondo multinazionale e multi-cloud, i dati che le organizzazioni gestiscono sono sparsi in tutto il mondo, con inevitabili complicazioni su dove sono, chi li possiede e chi può accedervi e cambiarli.
E, se non si tratta solo di “cloud” (ne parleremo più avanti), è pur vero che il cloud rappresenta una parte vitale. Come dice Sylvain Rouri, Chief Sales Officer del cloud provider OVHcloud: “più aziende, più software e più applicazioni si affidano al cloud. È il modo in cui ora offriamo servizi ai cittadini, ai clienti e agli utenti, e deve essere completamente trasparente e agnostico al punto da avere il controllo completo dei nostri dati”.
Questo, tra l’altro, è esattamente il motivo per cui abbiamo appena annunciato la nuova iniziativa VMware Sovereign Cloud, pensata per dare ai governi libertà e controllo in un mondo multi-cloud, consentendo loro di impegnarsi con fornitori di servizi cloud nazionali di fiducia che soddisfino i requisiti geo-specifici sulla sovranità dei dati e il controllo giurisdizionale.
Dove risiede la responsabilità
Per chi è rilevante questa conversazione, chi vuole e ha bisogno di sovranità sui propri dati? Beh, tutti.
Prendiamo i Governi di tutto il mondo: comprensibilmente, vogliono che i dati dei loro cittadini rimangano all’interno dei confini nazionali – una cosa che è diventata un punto focale dopo la corsa verso gli hyperscaler globali (che tendono ad avere sede in America). Ora, i Governi si stanno chiedendo se tutti i dati si trovano all’interno del controllo di un’altra nazione – un vero problema di sicurezza nazionale.
È lo stesso scenario per le organizzazioni: la maggior parte delle aziende vuole essere globale, ma destreggiarsi tra le attività – compreso lo scambio e l’archiviazione dei dati – in diversi Paesi ed entità è un delicato gioco di equilibri.
Questo è particolarmente vero quando si inizia a guardare le sfumature di specifici settori di mercato. Prendiamo come esempio le sfide che stanno affrontando le banche: i regolatori stanno guardando attentamente al rischio di concentrazione dicendo di “non mettere tutte le uova in un paniere cloud, e di distribuire il rischio tra i cloud… ma assicurandosi anche di poter uscire da questi cloud in qualsiasi momento, e di sapere sempre dove sono i dati e di averne il controllo”. Queste sono sfide profondamente tecniche che non si risolvono dall’oggi al domani. Ed è un indicatore del perché ci sono oltre 4500 cloud provider che collettivamente soddisfano il bisogno di scelta in un mondo multi-cloud.
Pauline Flament, Chief Technology Officer presso Michelin, amplia ulteriormente questo concetto attraverso la lente della propria azienda. Come leader nella mobilità sostenibile, Michelin vende pneumatici e servizi in 180 Paesi, un complesso ecosistema globale. Michelin non può conoscere ogni circostanza in tutte le sue operazioni; quindi, si affida ai suoi service provider per offrire la giusta struttura e sicurezza per garantire che i dati possano sempre essere localizzati, protetti e accessibili. Questo è vitale per tutta l’azienda, dalla R&S (che ha bisogno di sovranità digitale e di dati per salvaguardare l’innovazione) fino alle risorse umane (che devono salvaguardare i dati dei dipendenti in ogni area geografica).
Qual è il rischio di sbagliare? Per Pauline è triplice: in primo luogo, la mancanza di opportunità. Se un’impresa non può fare business in certi Paesi, non può crescere efficacemente. In secondo luogo, la produttività: se i dati non sono correttamente accessibili in un Paese, le attività non funzionano. In terzo luogo, si tratta di reputazione a livello aziendale: il business è costruito sulla fiducia, e se i tuoi dati non sono sicuri, allora non lo è nemmeno la tua reputazione. Questi sono i rischi – innegabilmente significativi – ma, ribaltandoli, si può immediatamente vedere quante opportunità la sovranità digitale e dei dati presenta.
Le azioni parlano più forte delle parole
Quindi cosa si sta facendo in risposta a tutto questo? Quali sforzi stanno aprendo la strada per dare forma al nostro decennio digitale?
Ne è un esempio Gaia-X, un progetto in cui rappresentanti del business, della politica e della scienza in Europa e in tutto il mondo lavorano insieme per creare un’infrastruttura di dati federata e sicura. Gaia-X sta lavorando verso la visione di un ecosistema digitale aperto, trasparente e sicuro, dove dati e servizi possono essere resi disponibili, raccolti e condivisi in un ambiente di fiducia.
Secondo Francesco Bonfiglio, CEO di Gaia-X, si tratta di “riprendere il controllo delle tecnologie digitali”, di disporre di un sistema che permetta la governance delle tecnologie esistenti, in particolare gli stack cloud, che oggi non hanno la trasparenza o l’interoperabilità necessaria; che è completamente inclusivo; che permette a chiunque di essere conforme a Gaia-X, purché apra i propri servizi e tecnologie per essere verificato e reso trasparente”.
Francesco Bonfiglio parla chiaro: Gaia-X è iniziata dall’Europa per l’Europa e oltre. Ha visto membri entusiasti da tutto il mondo, non ultimo da Paesi come la Corea e il Giappone, dove le aziende sono affamate di livelli coerenti di fiducia comprovata. “Questo non è un problema europeo”, dice Francesco. “Stiamo parlando del futuro dell’economia mondiale, che sarà guidato principalmente dai dati. Se non si ha il controllo, questo costituirà semplicemente uno spostamento del valore dell’economia verso uno di minor controllo”.
Così, le persone, per la prima volta, si siedono intorno al tavolo e dicono “questo è ciò che vogliamo fare con i nostri dati; questo è ciò che il mercato vuole, e questo è il modo in cui risponderemo insieme. È inclusivo e abbiamo soldi da spendere – l’equazione perfetta per il cambiamento”.
La fiducia come base su cui costruire
Parte di questa equazione deve essere la fiducia. Le persone hanno già dovuto avere fiducia per scegliere il cloud. L’azione che viene intrapresa ora è un segno di maturità nel mercato del cloud – che si è evoluto al punto tale che molti fornitori diversi stanno fornendo versioni sfumate e mature della tecnologia per offrire agli utenti scelta, affidabilità e valore.
Allo stesso tempo, dobbiamo anche pensare più in grande. Il futuro dei dati non è solo nel cloud; è altamente distribuito, all’Edge. I nuovi standard e modi di parlare di dati devono considerare dove i dati esistono, olisticamente, cioè in tutta la catena di progettazione e l’architettura.
Francesco Bonfiglio dice: “Non stiamo più parlando solo di cloud. Stiamo parlando di un meccanismo di federazione di nodi, persone, utenti, fornitori che condividono i dati – senza soluzione di continuità, in tutto il mondo, in modo sicuro e affidabile. Stiamo costruendo il tessuto di un nuovo futuro di piattaforma digitale di calcolo, in un modo simile a come abbiamo costruito internet – uno che fornirà il futuro fondamentale delle nostre vite e dell’economia“.
L’opportunità non potrebbe essere più grande. Stiamo lavorando attraverso questo “decennio digitale” con determinazione, ma il lavoro che facciamo ora – radicato nella collaborazione, nella fiducia e nella trasparenza – sarà significativo ben oltre il 2030. È un momento incredibilmente eccitante per riprendere il controllo.